giovedì 27 febbraio 2014

Barcode


Nato per un progetto teatrale il Barcode è una sitcom ambientata all'interno di un bar di San Francisco popolato da strani personaggi.

Sinossi
Il Barcode non è il centro dell'universo ma è il centro dell'esistenza di quattro strambi personaggi che se non fosse per un bancone e un bersaglio per le freccette sarebbero in giro per il mondo a far danni. Il Barcode è raccontato nel diario di Jonathan, svogliato barista che non vi servirà mai da bere, ma vi racconterà di quella volta in cui ha salvato un intero esercito dalla disfatta campale utilizzando una graffetta e una buona mano a poker. Il Barcode è la tana di CJ, agguerrito esattore che ha fatto del recupero crediti la missione di una vita e sul quale potete riporre tutta la vostra fiducia, a meno che non abbiate un debito con qualcuno. Il Barcode è la rima sballata di un verso surreale declamato da Dina, una poetessa dall'oscuro passato e dal presente altrettanto nebuloso, che ha capito che gli altri non hanno capito e che vi metterà a posto con un'occhiata ben piantata fra le scapole. Il Barcode è il destino di Jeff, il DJ che ha organizzato i più stupefacenti concerti del pianeta dimenticando di mandare gli inviti e che per il Barcode ha in mente il party definitivo. Che abitiate a San Francisco, Tokyo o Buttigliera Alta, il Barcode è il vostro bar. Una volta che ci sarete entrati, e vi sarete serviti da bere, non vorrete più andare via!

Il diario di Jonathan Grass

questa notte il caldo ti si appiccica addosso come una femmina di Bangkok. le sue dita scorrono il tuo corpo esplorando le cicatrici di mille giungle, di mille deserti, di mille campi di battaglia dove altri, i tuoi fratelli, hanno lasciato pelle e ossa. tu continui a percorrere la stessa valle, cammini lentamente, un passo un respiro, un passo un battito, senza sapere cosa c'è oltre l'erba alta, senza sapere se stai finalmente scendendo da questa montagna di letame. questa notte il caldo ti si appiccica addosso come una femmina di Bangkok. la lasci fare, è l'unica umanità che riesci ancora a rispettare, avendo perso il rispetto per te stesso, per le azioni compiute, mentre la mano incespica lungo le lenzuola bagnate alla ricerca di un sigaro ancora acceso. dal diario di Johnathan Grass

i due felini mi osservano come si osserva la preda. non corro alcun pericolo ma ricordo l'ultima volta in cui sono stato preda e non cacciatore. tre giorni nascosto sotto una trave di cemento armato crollata. fuori il vento mescolava la sabbia di Kandahar alla puzza dei cadaveri. dentro il cuore suggeriva di rimanere immobile mentre le milizie scorrazzavano in strada falciando tutto quello che si muoveva. tre giorni con il sangue di Sam a incrostare le mani, tre giorni a parlare silenziosamente con Sam dei bei tempi andati, mentre il suo corpo esanime ti giace addosso nascondendoti, salvandoti la vita, e l'unica cosa che hai da bere per sopravvivere è il tuo sudore amaro. adesso do da mangiare ai gatti. dal diario di Jonathan Grass

guardo negli occhi la birra tiepida e immediatamente capisco che si tratterà di una lunga conversazione. le bollicine corrono rapide verso l'alto come giorno dopo giorno le anime dei commilitoni. sento una fitta al ventre ma non è il coltello dell'oste cingalese che affonda nelle mie carni a tradimento. è il fegato che mi avverte che da troppe notti bevo le mie ore di riposo. il mio fegato è uno stolto. non ha capito che resto sveglio perché domani come oggi potrebbe essere il mio ultimo giorno. non voglio passare le ultime ore che mi restano a fissare negli incubi i volti di chi è rimasto nella giungla. ora mi alzo e vado a pisciare. dal diario di Jonathan Grass

Valery è la ragazza che ogni uomo vorrebbe amare, energia vitale che scaturisce da ogni sorriso, l'innata capacità di illuminare anche la giornata più faticosa, la forza di un dolce abbraccio che spazza via la durezza della vita. Valery è la donna che ogni uomo vorrebbe possedere, un corpo disegnato dalle curve, seni pieni da sfiorare, gambe lunghe da baciare mentre ascolti il suo respiro che si blocca a intermittenza per l'estasi. Valery è la moglie che ogni uomo vorrebbe al suo fianco, comprensiva, capace di perdonare, consapevole che un maschio ha bisogno di lei più di quanto lei non abbia bisogno di lui, anche quando vuole stare da solo, anche quando diventa odioso e cattivo, solo perché è uno stupido maschio. Valery è bellissima nella foto che tengo in mano, baciata dalla luce solare nel suo abitino bianco che poco lascia all'immaginazione, ma niente più della santità traspare. Valery vorrei non conoscerti, mentre l'elicottero ci riporta alla base sporchi di fango fino nell'anima, mentre cerco nella poca umanità che mi rimane le prime parole che userò quando ti incontrerò. Sì Valery, vorrei non conoscerti e invece dovrò tornare da te per dirti che Michael non lo farà. E' rimasto indietro e nessuna delle strade che percorrerà da oggi lo condurrà a casa. Dolce Valery. dal diario di Jonathan Grass

sono le due della notte. CJ entra nel bar, il locale è vuoto, ed io lo osservo da dietro il bancone. CJ arriva a quest'ora solo quando la giornata è stata davvero lunga, solo quando l'ultimo debitore si è fatto cercare fra le mille ombre della città. il suo umore è nero, si serve una birra e senza salutarmi si siede al tavolo vicino alla vetrina. nell'aria si respira la calma che impera prima di un attacco, la stasi che ferma il mondo prima dello scoppio di una granata. ma non questa sera, CJ non parlerà e certamente io non lascerò il bancone. improvvisamente entra Jeff ciondolante al ritmo della musica che lo tiene vivo dalle cuffie che ha sempre addosso. Jeff torna da una festa, una festa breve. si blocca appena si accorge che nell'angolo c'è CJ. porta la mano al lettore mp3 ed istantaneamente si spegne la musica dell'universo. CJ guarda Jeff. Jeff guarda CJ. uno sguardo di sfida negli occhi di Jeff. un ghigno soddisfatto sulla bocca di CJ. mi sbagliavo sulla calma di cui sopra, sta per esplodere una granata. dal diario di Jonathan Grass

10 di sera. CJ parla da mezzora lamentandosi di qualunque cosa non sia sotto il suo controllo. Se CJ controlla qualcosa funziona. Se CJ non controlla qualcosa non funziona. Si muove brontolando ad alta voce ciondolando da un tavolo all'altro e intimorendo la clientela così come un capo viet cong spaventa i prigionieri menando in aria la rivoltella. l'unico ad ignorarlo è Jeff preso da un ronzio musicale simile al rimbombo di una casamatta. D'un tratto fa il suo ingresso Dina. Si blocca sulla soglia e osserva la situazione. CJ non la vede, le offre le spalle, e continua la sua filippica sui mali del mondo. Dina fa un balzo in avanti, l'effetto sorpresa è dalla sua, e rapida si porta a un palmo da CJ. Lui si gira e cala il silenzio. Dina alza l'indice e lo punta sotto il naso di CJ, Dina socchiude gli occhi e li conficca dritti nel cranio di CJ. Sun Tsu diceva: "combatti solo le battaglie che puoi vincere". Non so se CJ abbia mai letto Sun Tsu ma senza proferire parola fa un passo all'indietro e si siede sulla sedia più vicina. Dina gira i tacchi ed esce dal bar. dal diario di Jonathan Grass

avete mai ascoltato il silenzio? non vi prendo in giro. l'avete mai davvero ascoltato? è assordante. stai lì seduto al centro del bar, fossero le alture del Golan sarebbe uguale, e l'aria spessa come il catrame ti si stringe addosso. sai che da un momento all'altro sta per succedere qualcosa ma sai anche che quel momento potrebbe essere fra una fr azione di secondo o fra una settimana. ciò che conta è stare all'erta. poi entra lei, Dina, il suo passo spedito, l'eleganza da gazzella, e si siede a uno dei tavoli. il silenzio si sgretola appena poggia i suoi occhi su di te, occhi penetranti, occhi da Dingo a caccia. sapevi solo che saresti morto per essere guardato da quegli occhi ed ora ti sembra di non aver mai vissuto prima. "io e te dobbiamo parlare" dice. improvvisamente il tuo nascondiglio da cecchino diventa un richiamo per gazze, credevi di avere il silenzio in pugno ma invece capisci che ti mancavano solo le parole. "hai ragione" ribatti "abbiamo molto da dirci" e ti alzi per camminare verso di lei, per essere divorato dal dingo, ma non importa. dal diario di Jonathan Grass

le pale del ventilatore ronzano lente sopra il letto mentre il sole entra a spicchi dalle persiane malandate. la penombra lascia poco all'immaginazione e i miei occhi indugiano pigri sulle superfici coperte dalla polvere, su una specchiera rotta, sui nostri corpi nudi. c'è odore di sudore nell'aria, sudore di afa, sudore di passione. riconosco me stesso mentre le narici scoprono curiose anche l'odore della sua pelle, bagnata e addormentata. mi giro sul fianco: cosa ci fa una dea distesa vicino a me? percorro con gli occhi il suo corpo, le dita dei piedi piccole e affusolate, la linea dei polpacci in parte nascosta dalle lenzuola, le lunghe cosce che promettono felicità ad ogni centimetro fino a giungere al ventre. i suoi seni si muovono lievemente al ritmo lento del respiro e infine raggiungo il collo, il mento, la bocca. il desiderio di baciarla si fa pressante ma non voglio rovinare la perfezione, l'unicità di questo momento, il regalo non meritato che la vita ha fatto ad un uomo. poi la bocca si muove e diventa un sorriso. salgo ancora con lo sguardo e incrocio i suoi occhi. si è accorta di me. mi afferra la mano e la porta al seno destro. l'ultima giornata di Ha Noi. domani si parte per il nord, ma non adesso. dal diario di Jonathan Grass

ed è la notte che viene a fare le domande. mentre cammini lungo un canale illuminato da lampioni morenti, mentre sei disteso nel letto tra lenzuola e sudore. il giorno è gentile, ti lascia scampo, e mille scuse per fare finta che non vi sia nulla da chiedersi: un lavoro da consegnare, un luogo da raggiungere, un palazzo che dipinto dai colori del tramonto ti convince di essere disteso nel prato vicino a casa e non su un marciapiede di Saigon. deve essere il silenzio, deve essere la solitudine. il silenzio non lascia spazio alle scuse, ti obbliga a rispondere. e allora pensi...... all'opportunità avuta lasciata andare per paura, all'amico perduto per il troppo orgoglio, al padre che non senti da anni perché non trovi le parole per perdonare, alla donna che hai amato ma non hai mai baciato. tutti prima o poi dobbiamo fare i conti con la notte. dal diario di Jonathan Grass

rimango seduto sull'uscio mentre il vento mi sputa in faccia questo caldo irrespirabile. la giornata non prospetta emozioni se non qualche auto che passa incerta davanti al Barcode sfidando l'asfalto rovente. solo una volta ho sentito la pelle bruciare tanto, in un campo profughi in Tunisia, un paio di vite fa. d'un tratto sento qualcuno al mio fianco, si siede sul gradino, è Dina. restiamo in silenzio fissando insieme il vuoto mentre comincia il nostro dialogo senza parole. poi mi spiazza completamente, china la testa e la poggia sulla mia spalla. difficile dire cosa le passi per la testa. un gesto d'affetto? un grido d'aiuto? "come stai?" le chiedo. "c'è un cadavere dietro il frigo dei gelati. vado dentro a pulire" risponde. poi si alza veloce e scompare all'interno. sono quasi sicuro che mi abbia sorriso. dal diario di Jonathan Grass

la vita è fatta di attimi, tutto sta nell'apprezzare quelli giusti e dare poca importanza a quelli sbagliati. e succede che una sera al Barcode si manifesta l‘attimo perfetto, quattro amici che, nonostante tutto, si sostengono a vicenda perché l'obiettivo non è arrivare in un posto o ottenere qualcosa, l'obiettivo e farlo insieme. e allora si fottano gli uomini del monte, le pesche coi moscerini, i bombi Alvaro o i come cazzo è possibile che da qui non se ne esca perché la luce non abbandona il Barcode. esserci stati, tutti quanti, è l'unica cosa che conta. e domani la luce del sole ci ricorderà che è stata una gran serata. dal diario di Jonathan Grass

napalm, napalm ovunque... e anche oggi abbiamo disinfettato la cucina del Barcode. dal diario di Jonathan Grass

venerdì 21 febbraio 2014

Italia, penne e renzusconi


Cara mamma.... come va in Italia?!
Beh, che dire, nulla di nuovo. Hai presente quel Fonzie, Renzie.... il grullo toscano, quello che riesce a dire 357 parole al minuto senza prendere fiato nemmeno nel minuto successivo? L'hanno messo a fare il Primo Ministro anche se lui diceva che per farlo avrebbe prima vinto le elezioni. Ho scoperto che lo soprannominavano "il bomba" già hai tempi delle medie. No, non perché sia grasso ma perché ne spara una più grossa dell'altra. Ormai quando va alle trasmissioni televisive nella stanza accanto c'è una squadra di artificieri pronta all'intervento. Cosa? No, non ci va a Sanremo. Hanno già interrotto per due finti aspiranti suicidi con le babbucce di Prada. Figurati se possono rischiare di sgomberare l'Ariston perché quello, senza prima avvertire, ti spara che ti completa la Salerno-Reggio Calabria in tempo per le ferie 2014.
Pensa che dice di avere già la squadra di governo pronta, c'ha lavorato un paio di giorni. Bah, vedremo. So che ha confermato alcuni ministri del governo precedente, quello di Padre Letta. C'è la Bonino, Lupi, Lorenzin, Or..... Cosa mamma? Si hai capito bene la Lorenzin. Lo so che non è laureata ma in Italia funziona così. Questo è il paese dei sogni, è quel paese dove se c'hai una laurea in medicina emigri all'estero ma se invece c'hai un diploma allora puoi fare il Ministro della Salute.

Il Grillo Parlante? No mamma. Ti ho già spiegato che non ha niente a che fare con Pinocchio. Non è il Grillo Parlante, cioè, per parlare parla, anche troppo. Ma questo Grillo di nome fa Beppe. C'è di buono che 'sta settimana appena passata è riuscito a zittire "il bomba". No mamma. Non aveva argomentazioni migliori. Ha solo urlato più forte. Pensa che ci son quattro del suo partito, scusa movimento, che han detto che è stata un'occasione sprecata. I suoi seguaci stanno pensando di mandarli democraticamente affanculo. Prima di dire una cosa simile avrebbero dovuto interpellare il "popolo del web" ma non avendolo fatto allora dritti affanculo. Ti ricordi quel teorema secondo cui il Furer ha sempre ragione e non va mai criticato? Ecco, aggiungici solo molte parolacce.

Cosa mamma? Non hai più sentito niente di Berlusconi? E' morto? No mamma. Sembrava morto. C'è un serpente marino che fa più o meno la stessa cosa. Sta sul fondo del mare e finge di essere morto. Allora arrivano i pesci e cominciano a dargli dei piccoli morsi. Si sentono sicuri, pensano che ormai un lauto pranzo sia servito. E allora quella PAM, a "bomba" gli salta addosso e se li pappa per altri vent'anni. No mamma, cosa c'entra Renzi. Ho detto "a bomba" non "il bomba".

mercoledì 19 febbraio 2014

Beppe Grillo e la tempesta di parole


Caro signor Beppe Grillo, il signor Matteo Renzi non sarà un gran simpaticone, probabilmente manterrà un decimo delle promesse fatte, si è più volte contraddetto annunciando di andare a destra e andando poi a sinistra e viceversa e probabilmente, proprio come sostiene lei, farà gli interessi dei soliti poteri forti alla faccia di noi italiani. Per giunta è segretario del PD, partito che ha più scheletri nell'armadio di quanti sono gli armadi di Arcore. Al contrario il suo Movimento Cinque Stelle, non lei, è portatore di ideali sinceri, grande entusiasmo e voglia di cambiare di tante gente stufa dello schifo che è stato. E' forse per questo che lei continua a farne il guastatore? Lo spettacolino da piazzista televisivo, santone telefonico, urlatore di borgata che ha inscenato in diretta streaming a Palazzo Chigi è stata una delle cose più stupide che mi sia capitato di vedere negli ultimi tempi. Le do atto di aver zittito Renzi, uomo che non riesce a restare in silenzio in pubblico per più di 10 secondi. Ma lo ha fatto maleducatamente e con una violenza verbale che non appartengono a chi vuole cambiare le cose ma solo all'arroganza del potere. Parafrasando Voltaire sostengo il "non sono d'accordo con quello che dici ma lotterò fino alla morte perché tu possa dirlo". Il suo zittire l'avversario vomitandogli addosso merda e parole ha sortito in solo effetto: censurare un'opinione differente. E la censura non è del cambiamento ma solo delle dittature. I casi sono due: o le sue argomentazioni, signor Grillo, non reggono il confronto con quelle di Matteo Renzi (non credo); o lei ritiene i suoi "pentastellati" degli emeriti coglioni pronti a cascare nelle spire dell'avversario ammaliatore. Chissà cosa avrebbe mai potuto dire il primo ministro in pectore di così grave da non poter neppure proferire parola. Veniamo alla domanda che le ho posto più su. Perché continua a fare il guastatore del suo movimento? Di cosa crede si parlerà domani? Delle argomentazioni con le quali ha intelligentemente smontato Renzi o del culo che gli ha piazzato in faccia urlando. Ha proprio così tanta paura di rimanere senza lavoro? Meglio continuare a castrare i suoi ragazzi vero piuttosto che lasciarli camminare con le proprie gambe? Torni a fare il comico che a giocare al politico mi ricorda solo il dittatore megalomane di un piccolo stato caraibico.