lunedì 24 settembre 2012

Risolvere la questione Fiat con la globalizzazione sostenibile

Governo italiano e stakeholder Fiat si stanno affannando a più non posso al fine di trovare una soluzione che tenga l'azienda in Italia per continuare a stipendiare i lavoratori italiani. Le soluzioni proposte sono le solite, trite e ritrite, quelle che nei decenni ci hanno convinto essere le uniche possibili: finanziamenti pubblici (soldi nostri), più flessibilità lavorativa (vita nostra), meno diritti (i nostri). Perché la Fiat vuole andarsene è chiaro a tutti: altrove produrre costa meno. La globalizzazione è stata una manna dal cielo per il capitalismo che, oltre a nuove vie di trasporto e comunicazione ha visto aprirsi nuove vie di sfruttamento. I lavoratori cinesi costano meno perché non hanno alcun diritto sul posto di lavoro. Lavorano 16 ore al giorno, vengono pagati un decimo, se stanno male vengono licenziati e se muoiono sono seppelliti in comodi involtini primavera. Le fabbriche cinesi non parlano solo cinese: parlano inglese, francese, italiano. L'imprenditore furbo va dove costa meno produrre. Una concorrenza terribile che si può combattere solo spazzando via i diritti dei lavoratori italiani ed europei. Balle!!!!! Ci dicono che è così perché chi ci governa lo fa per difendere il plusvalore intascato dai padroni delle aziende: mica per difendere gli stipendi di impiegati ed operai. La soluzione è tanto semplice. Basterebbe mettere delle barriere all'ingresso dei prodotti che gli imprenditori italiani e stranieri realizzano in estremo oriente per rivenderli qui. Dazi doganali? Assolutamente no. Curare con i dazi un mercato drogato non dalla qualità ma dal basso costo dei prodotti non potrebbe fare altro che peggiorare la situazione. Non sono un economista, tanto meno un economista prezzolato da Standard & Poors. Allora chiedo, la soluzione non sarebbe invece una globalizzazione umana? L'Italia, per legge, commerci solo con i paesi che garantiscono ai propri lavoratori almeno gli stessi diritti dei lavoratori italiani. Il costo del lavoro salirebbe anche altrove e allora si potrebbe concorrere sulla qualità dei prodotti, sulla qualità del lavoro, e non sul numero di diritti da togliere ai lavoratori italiani. Non rimarremmo senza scarpe Nike né senza auto. Siamo pur sempre un mercato di 60 milioni di consumatori e facciamo gola. Non mi si dica poi che ne risentirebbe il nostro export. Nonostante produrre in Italia non sia "conveniente" la nostra bilancia commerciale è in attivo. Ma allora, se non la difesa degli interessi di pochi, cosa ci impedisce di bloccare palloni cuciti da bambini o iPhone sporchi del suicidio di lavoratori Foxconn così come blocchiamo, almeno ufficialmente, i war diamond?