mercoledì 23 marzo 2016

Le lacrime della Mogherini

Ai nostri politici piace tantissimo commuoversi in pubblico, piangere a comando. Probabilmente schiere di mental coach gli hanno spiegato che crei empatia con l'elettorato, che ti mostri più vicino alle persone che governi, che raccatterai più voti alle prossime elezioni. Ma commissario Mogherini le sue lacrime non le posso accettare.
Non le posso accettare se erano sincere perché significa che lei non è idonea a guidare una situazione "sopra le righe", il minimo sindacale da chiedere, credo, al ministro degli affari esteri europeo. Le lacrime spettano ad altri, non a un leader che dovrebbe rassicurare il proprio popolo e dirgli "tranquilli, siete in buone mani".

Commissario Mogherini, no, le sue lacrime proprio non le posso accettare


Non le posso accettare se erano finte. Avrebbe dimostrato ancora una volta che alla nostra politica interessano di più i voti nelle urne piuttosto che contare davvero qualcosa. Ma soprattutto immagino le urla di giubilo delle bestie col kalashnikov quando l'hanno vista sulle tv satellitari: "Ecco gli occidentali. Noi gli mettiamo le bombe nelle case e quelli si fanno governare da femmine che piangono". I seminatori di morte si sono galvanizzati quando hanno visto le sue lacrime.

Commissario Mogherini, no, le sue lacrime proprio non le posso accettare.

lunedì 21 marzo 2016

Leggero come una foglia

Credevo che la vita sarebbe stata più bella. In realtà lo era, non lo pensi anche tu? Guarda questo tramonto. Confonde il rosso dell’amore della natura per noi con la calda maglia di lana che indossi. Gli alberi, i rami, le foglie intorno ci avvolgono in un intenso abbraccio, eppure, il vuoto che sento dentro, cancella la gioia che ci ha fatto perdere in questo immenso prato. Lo senti il vento? E’ lontano, ma sta per arrivare. Ci porterà gli odori del mondo, di terre che la nostra anima non ha mai esplorato, l’aroma di spezie del lontano oriente, il profumo umido e rovente dell’erba gialla della savana. Se solo potessi comprendere il significato delle mie parole. Si smarriscono nell'aria alla ricerca di chi le ascolti e tu, che sei al mio fianco, le ignori spregevolmente, ti fai beffa di me con il tuo silenzio irriverente.
Guardami negli occhi e dimmi: non vedi forse il mare, quel lontano maggio in cui, controvoglia, mi hai spinto sul treno? Volevi fare il bagno, nonostante l’acqua fosse gelida. Non fu il freddo a fermarti, quando in costume ti avvicinasti per osservare meglio gli scogli, lì dove finisce il regno di Poseidone. Fu la tempesta, la stessa che ora puoi vedere intorno alle mie pupille. Era ingiustificata da una giornata calda e solare, ma le onde infuriate portarono il panico fra i pescatori, impegnati a mettere in salvo le barche, la vita, combattendo contro i capricci del dio dei mari dietro l’inutile riparo di un grande molo reso gnomo dalla furia della natura. Tu osservasti con interesse, ti preoccupasti per quelle persone, io ti stringevo la mano sussurrandoti parole di fiducia e speranza: il mare si placò, i pescatori ti sorrisero ringraziando silenziosi per la forza che avevi infuso loro. Non sapevano cosa avessi fatto, ma nessuno metteva in dubbio che fosse stato merito tuo se l’universo era tornato benevolo e la pace era ricomparsa sulla terra.
Insomma, cosa devo fare perché il tuo cuore spalanchi le porte e mi renda partecipe della sofferenza che lo tormenta? Quante carezze la mia mano dovrà ancora donarti perché la tua pelle cominci a fremere e dia forza alla tua voce?
Ricordi quando le montagne ci accolsero? Raggiungemmo la cima nelle prime ore del mattino, mentre il sole, uno spicchio dopo l’altro, compariva alle spalle delle creste, accarezzandone la candida beltà, baciando i nostri volti desiderosi di calore. Il gelo dell’ascesa aveva tormentato i nostri corpi per ore ma, alla fine, seduti sulla sommità delle nevi eterne, stretti alla ricerca del nostro tepore, trovammo quel sollievo che solo l’astro portato dal carro di Apollo ci poteva donare. Rammento di essere rimasto in silenzio: ti guardai per ore mentre, assorta, poggiavi il tuo sguardo curioso sul bianco mondo sotto di noi. La luce riflessa dai ghiacci sottolineava il tuo profilo. Seguii con gli occhi la linea del naso piccolo e capriccioso, mi soffermai sulla sensualità delle labbra, scoprii la piccola cicatrice sul lato sinistro del mento. Che strano, pensai, non me ne ero mai accorto. Ti sei voltata verso di me, cancellando con un singolo movimento quanto la luce del cielo aveva appena rivelato. Mi spiegasti che ti eri fatta male cadendo, dall'altalena, eri poco più che una bambina, quando il tuo corpo aveva cominciato a sussurrarti, con estrema timidezza, i cambiamenti che stavano avvenendo dentro di te, quella naturale trasformazione che ti rese prima ragazza, poi donna. Io non dissi niente, tu mi sorridesti. È l’ultima immagine che ricordo di quel giorno: le tue labbra semi aperte poco prima che baciassero le mie.
Il tuo silenzio prosegue senza pietà. Le mie parole non riescono ad aprire una breccia nel muro di nulla che ci divide. Hai una scarpa slacciata: te ne sei accorta? Non credo, come fai di tutto per non accorgerti di me. Ti sfioro la mano, non reagisci; ti fisso negli occhi, mi ignori. Il vento è arrivato e sta tormentando i tuoi lunghi capelli castani. Non c’è spezia nell'aria, non c’è savana tra i nostri animi recisi. L’emozione, che provavo fino a pochi respiri addietro, mi ha tratto in inganno spingendomi ad immaginare un universo che non esiste più, che forse non è mai esistito. Ma ti confesso, mentre l’ultima luce del giorno bacia le tue guance pallide, che riesco a percepire la realtà distorta del nostro amore, questo prato sta per scomparire, un’alta scogliera prende forma in lontananza.
Vedo i gabbiani che, curiosi, volteggiavano intorno alle nostre figure sferzate dal vento. Quale pazzia andare a nord in pieno inverno. Davanti ai nostri occhi increduli si stendeva la linea del circolo polare, tanto invisibile quanto intensa nella sua glaciale maestà. Quando il freddo fu sul punto di farmi cedere, di spingermi a salire sulla due cavalli arancione e tornare nell'ostello dove ci eravamo fermati, tu sollevasti un dito e mi indicasti l’orizzonte. Il calore che si sprigionò nel mio petto per l’emozione ebbe facile gioco sulla gelida stretta che si stava facendo beffa del pesante cappotto di lana. Una famiglia di balene proseguiva placida un viaggio cominciato in chissà quale mare della Terra; l’acqua del mondo aveva accarezzato quelle maestose creature gracili e, dentro di me, si fece largo l’idea di essere più importante perché parte di un creato capace di tanta bellezza. Presi le tue mani fra le mie, mi accorsi che erano fredde, tu stupida avevi dimenticato i guanti nella nostra piccola camera cremisi. Mi misi dietro di te e, avvicinandomi tanto da diventare una cosa sola, infilai le mie mani nelle tue tasche, insieme alle tue, trasmettendoti tutto il calore di cui ero capace. Rimanemmo fermi così, immobili, mentre seguivamo con gli occhi, oltre le tracce del nostro lento respiro congelato dal freddo, l’allontanarsi dei cetacei, certi che sapessero che eravamo lì a salutarli.
Ora neanche questa fotografia del passato riesce a smuoverti. Dov'è finito il tuo maglione di lana, dove l’immenso prato sul quale eravamo seduti a godere del tramonto? Ho la netta impressione che non sia, ormai, solo la tua voce a mancarmi. Io parlo, ma tu non sei più qui, ti cerco con lo sguardo e mi sembri distante: mi odi? Perché hai lasciato la mia mano e mi impedisci di toccarti? E pensare che avevo paura di farlo, di sgualcire tanta bellezza.
Ricordo, sì. L’autunno accompagnava le nostre essenze e la città ci circondava con la sua giungla impazzita. Intorno a noi, milioni di esseri umani vorticavano frenetici alla ricerca di un significato: stolti, sapevano che non l’avrebbero mai trovato. Eppure, solo oggi capisco che nutrivo la loro stessa speranza. Attendevo di comprendere il motivo per cui eravamo uno di fianco all'altra, ma tu mi voltavi le spalle. Pazzia, follia, non so cosa accadde mentre i tuoi passi imperturbabili raccontavano alla mia anima, gli occhi erano chiusi per paura, che stavi andando via da me, che non avremmo più respirato le stesse emozioni. Quando le mie pupille tornarono ad essere ferite dalla luce, videro solo una sagoma lontana, mescolata a tante estranee e crudeli; videro solo i tuoi lunghi capelli, le tue spalle dolci e minute, le tue sottili gambe, che tanto ho amato, che rapide ti portavano altrove. Improvvisamente scomparve il mare, scomparve la montagna; l’alta scogliera, le balene, i gabbiani erano diventati solo la nebulosa ancora di salvezza di un cuore infranto.

Adesso comprendo perché non rispondi. I miei occhi insistono e indugiano sulla riva del piccolo laghetto. I pesci rossi comunali, grati a tanti bambini gentili di essere stati liberati dal loro sacchetto di plastica, guardano con me la tua immagine riflessa, specchio di come il mio amore è in grado di ricordarti. Io, seduto su questa panchina, percepisco il freddo del tardo autunno e, mentre il traffico delle automobili vortica intorno al limite di questo piccolo giardino, cerco ancora di afferrare la tua memoria, non voglio liberarmene: tanto ti ho amata. Strano vero? Credevo davvero che la vita sarebbe stata più bella, che avrebbe fatto di me e te un solo naviglio in grado di sfidare i mari dell’esistenza in tempesta. Invece, una foglia gialla ha appena abbandonato l’amato ramo, anche il loro è stato un amore fuggevole come la primavera e l’estate; si è appoggiata nell'acqua, ed è bastata la sua delicatezza a cancellare la tua figura con piccole onde di malinconia. Forse il nostro amore era leggero come una foglia, ed è per questo che una brezza leggera ci ha fatto volare in alto fino a toccare il cielo. Ma il vento non è eterno, anche lui si deve riposare. La nostra foglia non è precipitata, ma lentamente si è adagiata verso il mondo sottostante. Ha toccato l’acqua qui davanti a me portandoti via e, forse, ora potrò dimenticarti.

martedì 1 marzo 2016

Un figlio di finocchi sarà sicuramente finocchio ma tutti i finocchi sono figli di etero. E intanto le banche...

Fatemi capire. L'adozione del figliastro non si può. La gravidanza surrogata non si può. Il matrimonio fra finocchi non si può. Un figlio di finocchi sarà sicuramente finocchio ma tutti i finocchi sono figli di etero. Adottare bimbi che muoiono di fame all'estero è complicato e costoso. Adottare bimbi negli orfanotrofi (cattolici) italiani è quasi impossibile perché meglio stare con suore e preti (campioni della famiglia tradizionale) piuttosto che con famiglie etero e non finocchie. Ma al primo posto di tutta sta insalata russa dobbiamo metterci il bene dei bambini e delle madri (etero).

Un figlio di finocchi sarà sicuramente finocchio ma tutti i finocchi sono figli di etero

E mentre tutto questo rumore sale e si fa sempre più forte, fanno leggi per le banche, leggi che aumentano le tasse, leggi che riducono la libertà personale, leggi che anziché dare diritti ne tolgono e non fanno lo stesso rumore. No, non capisco.