martedì 27 marzo 2007

Clemente e i trans



La Stampa, martedì 27 marzo 2007

Massimo Gramellini


Il ministro Mastella ha negato di essere lui il politico coinvolto in una storia di bagordi da yacht, ultima esalazione della fogna a cielo aperto di Vallettopoli. Reazione sacrosanta, non fosse che il pettegolezzo riportato dai giornali alludeva a un «big del centrodestra». Ora, qualche sfrontato oserà contestare che Clementone nostro sia un big. Ma nessuno può mettere seriamente in dubbio che governi col centrosinistra, mica con quegli altri. Nessuno tranne lui, che ha sentito il bisogno di smentire qualcosa che in teoria si smentiva benissimo da sé.
La politica italiana assomiglia oramai a un trans, se persino un navigatore di lungo corso come Mastella, quando viene colto di sorpresa, fa fatica a ricordarsi da che parte ha girato la vela. Ma va capito: in ogni altra democrazia del pianeta quelli che la pensano come lui siedono sui banchi dei conservatori, dove lo stesso Mastella prese posto nel 1994, auto-assegnandosi la missione storica di «Moro del centrodestra». Poi è successo qualcosa, o meglio ha continuato a non succedere l'unica cosa che i democristiani di ogni seggiola e grado si augurano vanamente da tempo: un giro del mondo in ottanta secoli che tenga impegnato per un po’ l’ometto tenace che ha succhiato loro l'anima e i voti, Silvio B. Venuta meno l’unica ragione per cui stanno di là, i Mastella, i Di Pietro e i Marini tornerebbero immediatamente di qua. Il centrosinistra si ritroverebbe senza centro, ma se non altro tutti avrebbero le idee più chiare.

giovedì 22 marzo 2007

Non trattiamo coi terroristi

Daniele Mastrogiacomo è tornato in Italia sano e salvo. La notizia gratifica il nostro desiderio di giustizia e appaga la nostra umanità, bramosa di un mondo i cui la morte vive da estranea. Caro Daniele gioiamo insieme a te ed alla tua famiglia, davvero, siamo sinceri.
Eppure la vicenda che ha visto protagonista Mastrogiacomo stende l'ennesimo velo pietoso sulla maniera tutta italiana di stare al mondo. Sì, perché per liberare Daniele sono stati liberati dei criminali Talebani. Dico criminali perché, anche se qualche onorevole italiano ci invita a riflettere sulle loro ragioni, serebbe un buon esercizio intellettuale ricordare che i Talebani hanno instaurato una dittatura religiosa basata sulla privazione della libertà, sulla violenza, sulla cancellazione di ogni diritto civile. Il terrorista talebano non è il terrorista iracheno. Anche se i fautori della guerra al terrore cercano di farne un unico fascio. Il primo è un estremista religioso (poco importa che sia mussulmano, fosse cristiano sarebbe lo stesso), il secondo è uno che si ritrova con un esercito invasore in casa propria: è più facile che sia uno al quale un soldato occidentale ha fatto saltare per aria la casa, o al quale hanno stuprato la sorella, piuttosto che uno amico di Saddam Hussein e in cerca della restaurazione dei suoi diritti di affiliato alla vecchia dittatura Baath.
Insomma cinque terroristi sono stati liberati, cinque terroristi pronti a fare da bomba umana o ad addestrarne altri 500. Costoro cosa faranno: non sono una minaccia per i contingenti occidentali in loco o per altri giornalisti?
Qualcuno propone di vietare ai giornalisti di andarsi a ficcare nei casini nelle zone di guerra: sbagliato anche questo. Se il Vietnam è finito è proprio grazie ai giornalisti che hanno messo a repentaglio la propria vita per raccontare al mondo l'inferno indocinese.
"Ma se si fanno rapire poi ci tocca liberare altri Talebani" è la principale obiezione ai giornalisti al fronte. Bene, per una volta la politica estera statunitense mi trova d'accordo: non si tratta coi terroristi. Se i malviventi di tutto il mondo sanno che gli italiani sono disposti a scendere a patti, ciò determina il moltiplicarsi dei rapimenti. Cosa siamo: il bancomat del terrorismo internazionale? Se mettiamo bene in chiaro che non si tratta coi terroristi, i rapimenti non potranno che cessare. Continueranno a sparare sui nostri soldati, ma non avranno più motivo per rapire i nostri giornalisti, i nostri tecnici petroliferi, i nostri operatori umanitari.

Follia pura


Da La Repubblica del 22 marzo 2007


Un magistrato ha negato il divorzio rapido a una donna maltrattata. Motivazione: il Corano prevede le punizioni corporali. "Islamico? Può picchiare la moglie". Sentenza choc in Germania, rimossa la giudice. Ma è bufera politica. Dalla Cdu: "Assurdo riferirsi a concetti culturali estranei al nostro diritto e ai nostri valori democratici"

ANDREA TARQUINI

BERLINO - Se un marito musulmano picchia la moglie non è punibile, perché la punizione corporale delle mogli è concessa dal Corano. Con questa incredibile motivazione una giudice di Francoforte ha negato il divorzio immediato chiesto da una donna di origine marocchina. Su istanza dell´avvocato difensore della donna, la giudice è stata immediatamente ricusata e la magistratura ha riaperto il caso. Ma quel verdetto che subordina il diritto di una democrazia europea all´integralismo è lo scandalo del giorno.

La vittima del marito violento è una signora ventiseienne, di origine marocchina. Da anni veniva picchiata selvaggiamente dal marito. Era allora scappata di casa, aveva trovato rifugio presso amici tedeschi e aiuto da organizzazioni femminili. L´uomo l´ha minacciata più volte di morte. La donna si è allora rivolta alla giustizia tedesca e ha chiesto il divorzio immediato, con l´estrema urgenza prevista dalla legge per i casi gravi. Il giudice, di cui in rispetto delle leggi di difesa della privacy si conoscono solo nome di battesimo e iniziale del cognome, Krista D., ha espresso un verdetto negativo. La motivazione: secondo le sure del Corano, la punizione corporale della consorte da parte del marito è un comportamento legittimo. Non ci sarebbero stati quindi gli estremi per un divorzio-lampo: con freddo cinismo, la magistrato ha consigliato alla 26enne di tentare la normale via legale per il divorzio, che prevede i tempi lunghi di un minimo di un anno di separazione.

L´avvocato ha sporto un´istanza di ricusazione, e ha avuto soddisfazione immediata. Ma il mondo politico è scosso, attraverso gli schieramenti. Christa Stolle, leader di Terre des femmes, parla di sentenza incredibile. La Grande Coalizione di Angela Merkel è con lei. «E´ una sentenza tragica», dice il democristiano Wolfgang Bosbach, «è assurdo riferirsi a concetti culturali estranei al nostro diritto e ai nostri valori democratici». Alza il tiro il socialdemocratico Dieter Wiefelsputz: «Non basta la ricusazione, la magistratura deve decidersi a sanzioni disciplinari contro il magistrato».